Italia di Matteo Greuter
M. Greuter - 1600 - Dim. 208x114 cm
Questa carta è montata a “stacchi” su tela anch’essa di cotone come usava fare fin dal 1700 per rendere la mappa più maneggevole, essendo ripiegabile, più conservabile e meno ingombrante. Inoltre ogni esemplare è unico in quanto composto artigianalmente uno per uno con caratteristiche dissimili l’uno dall’altro. ITALIA , fu eseguita da MATTEO GREUTER nel 1600 circa e rappresenta un’Italia, splendida per la sua forma quasi attuale, che deriva da una tecnica cartografica già colta e raffinata.
Fu Tolomeo, uno dei massimi esperti della scienza antica e attivo nella prima metà del II secolo dopo Cristo, il fondatore della geografia matematica e della cartografia razionale. Suo merito principale fu quello di cercare di determinare la latitudine e la longitudine di ogni luogo. Date le modeste conoscenze scientifiche di allora, introdusse nella compilazione delle carte gravi errori. Queste rappresentazioni geografiche rimasero codificate fino agli inizi del Medioevo. Solo nei primi anni del ‘500 si iniziò a migliorarle con nuove osservazioni, soprattutto nell’Europa centro-settentrionale, ove stavano fiorendo le grandi scuole cartografiche tedesca e olandese. Di queste scuole ricordiamo quella di Gherardo Kremer, meglio noto sotto il nome di MERCATORE, geografo, incisore, matematico e filosofo insigne, amico del grande cartografo libraio ed editore fiammingo Abraham ORTELIO. Essi furono i primi ad avere il merito di aver emancipato la geografia dalle irrigidite tradizioni tolemaiche. Nei primi decenni del ‘600 una serie di importanti scoperte in matematica, fisica ed astronomia gettarono le basi per il miglioramento sostanziale nella tecnica del rilevamento, dall’invenzione del telescopio agli studi astronomici di GALILEO e CASSINIS, che resero finalmente di facile soluzione la determinazione della longitudine. Anche i cartografi italiani competevano attivamente con tedeschi e olandesi. I maggiori centri di produzione erano Venezia e Roma, dove i geografi pontifici si scambiavano tutte le informazioni raccolte dai missionari. A partire dalla seconda metà del XVI secolo tutti gli stati italiani, grandi e piccoli, curavano già con grande attenzione la rappresentazione cartografica dei loro territori. Esistevano anche numerose carte generali della penisola, in genere derivata da modelli stabiliti da secoli. Per quanto riguarda le rappresentazioni dell’Italia gli atelier cartografici italiani conobbero un periodo di rigoglioso sviluppo soprattutto dopo il 1550, per merito del più grande cartografo italiano del ‘500, il piemontese Giacomo GASTALDI e, successivamente, per merito del padovano Antonio MAGINI, suo degno erede. Le carte geografiche, sia oggi come ancor più in antico, erano necessarie per la conoscenza dei territori oltreché per l’evidente impiego militare, ma avevano valore in modo particolare per la designazione dei confini, oggetto di continue controversie e gelosie fra potentati. Le difficoltà che i cartografi di allora incontravano nell’elaborazione delle mappe erano notevoli. Oltre alla segretezza che spesso copriva gli elaborati cartografici, per questo motivo curati da apposite magistrature, vi era il lavoro di preparazione delle matrici col metodo dell’incisione, paragonabile, come attività, al lavoro dell’orefice, specie nella scrittura dei toponimi che richiedevano una estrema minutezza dovuta ad esigenze di spazi cartografici. I tempi di esecuzione erano lunghissimi e l’incisione non suscettibile di ritocchi e correzioni a tal punto che non è raro trovare nelle carte qualche errore. Inoltre il numero di copie che era possibile realizzare era limitato, poiché le lastre di legno prima e di rame poi, sottoposte al ripetuto schiacciamento del torchio, tendevano a deteriorarsi rapidamente. In particolar modo questi effetti si possono osservare nelle stampe calcogra fiche, al contrario di quelle xilografiche che erano più refrattarie all’usura ma di più difficile preparazione. La tecnica di incisione adoperata per la realizzazione di questa mappa è quella xilografica, la più antica delle arti grafiche. La sua origine si perde fra le tenebre del Medioevo; se vogliamo prestar fede ai viaggiatori di quelle epoche, sembra che questa arte fosse praticata in Cina e che venisse importata in Europa verso la metà del secolo XIV. Era utilizzata in quei tempi per la realizzazione di immagini sacre e carte da gioco. Il legno veniva scolpito; il disegno, che risultava in rilievo, era spalmato di inchiostro e per mezzo di un torchio, molto primitivo, forniva copie su carta. Con l’invenzione della stampa per opera di GUTEMBERG di Magonza nel 1450, la xilografia divenne la nuova arte grafica nell’illustrazione dei libri. Nel secolo XV si diffuse facendo rapidi progressi. Il legno che veniva adoperato era generalmente di pero segato in tavolette nel segno delle fibre. In seguito il pero fu sostituito dal bosso segato attraverso le fibre; in questo modo il legno poteva essere scolpito più facilmente e fu possibile dare all’incisione una finezza maggiore. L’incisione su rame, detta calcografia, ebbe origine nel 1452 per opera dell’orefice fiorentino Maso FINIGUERRA e detronizzò la xilografia che certamente non poteva competere con la finezza del lavoro veramente impareggiabile ed artistico della sua rivale. Strumento di lavoro era in un primo tempo, come per la xilografia, il bulino, sostituito successivamente con il procedimento detto “all’acqua forte”. E’ amalgamando le due tecniche di incisione e ricorrendo all’ausilio dei moderni procedimenti di grafica, che si è potuto ottenere il risultato della presente incisione, riproponente gli antichi metodi dal punto di vista del risultato.